Un imprenditore prudente deve scegliere consulenti preparati e affidabili e dare a queste persone il compito di valutare lo stato delle cose, di dirgli la verità su quelle questioni che sono espressamente poste da lui e non su altro; Egli deve
interrogarli toccando ogni problema, udire le loro opinioni e poi
deliberare autonomamente secondo la sua esperienza e sensibilità. Sia
con tutti i consulenti riuniti sia con
ciascuno di loro singolarmente deve comportarsi in modo che ognuno
sappia che quanto più liberamente parleranno ed esprimeranno il loro
punto di vista , tanto più gli sarà gradito. Al di fuori
di loro, non deve ascoltare nessuno, andare avanti nella decisione presa
ed essere fermo nelle sue deliberazioni. Chi si comporta diversamente, o
va in rovina a causa degli adulatori o cambia spesso decisione col
variare dei pareri con la conseguenza che fa nascere da questo scarsa
stima nei suoi confronti.
Le
cose che egli fa un giorno, le distrugge il giorno dopo, e non si
capisce mai quello che vuole né si può fare affidamento sulle sue
deliberazioni. Egli deve porre spesso domande ai suoi consiglieri e poi,
intorno alle cose su cui ha fatto domande, essere paziente ascoltatore
del vero; anzi, se capisce che qualcuno, per qualsiasi motivo non gli
dice nulla, deve preoccuparsene.
Un
imprenditore , che non sia saggio di per sé, non può essere ben
consigliato, se già per caso non si sia affidato a un solo consigliere
che lo consigliasse in tutto e che fosse uomo molto avveduto.
Perciò
possiamo concludere dicendo che i buoni consigli, da qualunque parte
arrivino, conviene che nascano sempre dalla saggezza dell’imprenditore, e
non la saggezza dell’imprenditore dai buoni consigli.
E
di questo avviene quel che dicono i medici del tisico, che all’inizio
la sua malattia è facile da curare e difficile da diagnosticare, ma, col
passare del tempo, non avendola diagnosticata fin dall’inizio né
curata, diventa facile da diagnosticare e difficile da curare. Allo
stesso modo accade negli affari di Stato; perché conoscendoli in
anticipo, i mali che nascono nello Stato (e questo non è concesso se non
ai saggi previdenti) vengono presto guariti; ma quando, per non averli
conosciuti, li hai fatti crescere fino al punto che ognuno li conosca,
non c’è più rimedio.
Perciò
i Romani, vedendo in anticipo le difficoltà, sempre ebbero pronto il
rimedio; e non permisero mai che crescessero per evitare una guerra,
perché sapevano che una guerra non si evita, ma si rimanda a vantaggio
di altri.
Perciò
portarono guerra a Filippo ed Antioco nella penisola balcanica, per non
dover combattere contro di loro in Italia; e in quel momento avrebbero
potuto scansare l’una e l’altra guerra, ma non lo vollero. Né mai
piacque loro la regola che ogni giorno sta sulle labbra dei nostri
saggi, cioè di godere temporeggiando il beneficio del tempo, ma
preferirono affidarsi alla loro virtù e alla loro prudenza; perché il tempo si trascina davanti ogni cosa e può portare con sé il bene come il male e il male come il bene.
Il potere
È
una cosa veramente molto naturale e consueta desiderare di accrescere
il proprio potere; e sempre, quando gli uomini che possono farlo lo
fanno, saranno lodati e non biasimati; ma quando essi non possono, e
vogliono farlo in ogni caso, sbagliano e sono biasimati.
Luigi
XII aveva dunque commesso questi cinque errori: eliminato i meno
potenti; accresciuto in Italia la potenza di uno Stato già potente;
fatto arrivare in Italia uno straniero potentissimo; non è venuto ad
abitarvi; non vi ha mandato colonie.
...Da
questo si ricava una regola generale, che mai o raramente sbaglia: chi è
causa della potenza di qualcuno va in rovina, perché quella potenza è
stata determinata o con l’ingegno o con la forza, e l’una e l’altra sono
sospette a chi è diventato potente.
Un’organizzazione, un’impresa gestita da una leadership basata sull’accentramento e con il middle management fortemente subordinato può essere “conquistata” con molte difficoltà, ma una volta conquistata può essere gestita senza eccessivi problemi. Viceversa un’organizzazione gestita, anche da un soggetto autorevole ma che ha delegato il
proprio potere ad un certo numero di manager alla testa per esempio
della singola divisione, può essere conquistata con facilità ma gestita
con grande difficoltà.
La fortuna
Dalla
tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l'uomo può
fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Egli ritiene che essa sia
arbitra solo della metà delle cose umane, e lasci regolare l'altra metà
agli uomini.
Un Principe dunque non deve avere altra occupazione, né altro pensiero, né esercitare
altra
attività all’infuori della guerra, dell’organizzazione dell’esercito e
dell’arte militare: questo è un compito che spetta esclusivamente a chi
governa. In una piccola impresa è l’imprenditore che deve promuovere la
strategia; se può deve servirsi di consiglieri esperti ma senza potere.
Il
Principe non deve distogliere mai il pensiero dagli esercizi militari,
ai quali in tempo di pace deve dedicarsi più che in tempo di guerra; e
può fare questo in due modi: l’uno con le opere, l’altro con la mente.
Quanto alle opere, oltre a tener bene in ordine e in esercizio i suoi
uomini, deve sempre praticare la caccia mediante la quale abituare il
corpo ai disagi, e contemporaneamente imparare la natura dei luoghi e
conoscere il sorgere dei monti, l’imboccatura delle valli, l’estensione
delle pianure, la natura dei fiumi e delle paludi: e in tutto questo
porre grandissima attenzione.
Quanto
all’esercizio della mente, un Principe deve leggere la storia e
analizzare le imprese degli uomini eccellenti, vedere come si sono
comportati nelle guerre ed esaminare le ragioni delle loro vittorie e
sconfitte, per poter evitare le sconfitte e imitare le vittorie; e
soprattutto fare quelle cose che in passato fece qualche Principe
eccellente, che già prese a modello un uomo che prima di lui era stato
lodato e glorificato, e del quale ha sempre tenuto a mente le gesta e le
imprese: come si dice che Alessandro Magno imitava Achille, Cesare
Alessandro, Scipione Ciro. E chiunque legge la vita di Ciro scritta da
Senofonte, riconosce poi nella vita di Scipione quanta gloria gli arrecò
quella imitazione e fino a che punto nella onestà, nella castità,
nell’affabilità, nella umanità e nella liberalità si conformasse a
quelle cose che di Ciro sono state scritte da Senofonte. Un Principe
saggio deve osservare simili regole e mai restare ozioso in tempo di
pace, ma farne tesoro con intelligenza per potersene valere nelle
avversità, affinché, quando muta, la fortuna lo trovi pronto a
resisterle.
Concludo,
dunque, ritornando alla questione se è meglio essere temuto che amato,
che poiché gli uomini amano a loro piacimento e temono secondo il
piacimento del Principe, un Principe saggio deve fondarsi su ciò che è
suo e non su ciò che è degli altri: deve solamente, come ho già detto,
fuggire l’odio.
Bisogna essere volpe (astuti) per riconoscere gli inganni, e leone (forte) per impaurire i lupi violenti.
In
generale gli uomini giudicano più dalle apparenze che dalla sostanza;
perché a tutti è concesso di vedere, a pochi di toccare con mano. Ognuno
vede quello che tu sembri, pochi sanno quel che tu sei, e questi pochi
non ardiscono opporsi all’opinione dei molti, che abbiano dalla loro
parte l’autorità dello Stato; e nelle azioni degli uomini, e soprattutto
dei Principi, per i quali non c’è un tribunale cui rivolgersi, si
guarda al fine.