lunedì 7 marzo 2011

L'inquietudine del Governatore Draghi


L’Italia è un paese fermo da quindici anni, lo afferma il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi nella parte conclusiva del suo intervento al convegno AIAF  tenutosi a Verona il 26 Feb 2011.

  •  Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%.
  • Nel mercato del lavoro vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di  precarietà all’altro.


 La crescita [1]

Obiettivo essenziale rimane la crescita, una crescita socialmente equa e rispettosa della qualità della vita. Senza crescita non si consolida la stabilità finanziaria nel mondo, in Europa, nel nostro paese.
L’Unione monetaria potrà superare la crisi dei debiti sovrani di alcuni suoi paesi membri se, oltre che i modi di assicurare la disciplina fiscale, saprà concordare le riforme strutturali necessarie per sospingere la crescita in modo duraturo e definire forme di controllo reciproco sul loro stato di attuazione.
In Italia la crescita stenta da quindici anni. Sulle cause di fondo e sulle linee di un’azione di riforma ci siamo soffermati più volte in varie sedi, sulla base delle analisi che abbiamo condotto negli ultimi anni. Ne ricordo qui alcune. A beneficio della crescita di tutta l’economia andrebbe un assetto normativo ispirato, pragmaticamente, all’efficienza del sistema. Se la legislazione non è trasparente, di qualità, stabile, se gli oneri amministrativi non sono proporzionati alle attività che si devono regolare, l’economia alla lunga declina. Nonostante i passi in avanti, l’Italia si segnala ancora in tutte le classifiche internazionali per l’onerosità degli adempimenti burocratici, specie quelli addossati alle imprese.
Il sistema di istruzione è decisivo. Si è ridotto, ma resta ampio, il divario di apprendimento dei nostri studenti rispetto a quelli di altri paesi, particolarmente grave nelle scuole del Sud. La scuola deve premiare il merito e il rigore negli studi, assicurare un livello soddisfacente di istruzione a tutti gli allievi, indipendentemente dalla loro origine sociale e geografica. Il nostro sistema universitario è ancora lontano, tranne pur notevoli eccezioni, dagli standard di qualità prevalenti nella maggioranza dei paesi avanzati. Le nostre istituzioni di ricerca non riescono ad attrarre a sufficienza studiosi, tecnici e manager di valore, italiani e non. La valorizzazione del merito è fra i principi centrali della riforma recentemente approvata; è un primo passo nella giusta direzione.

I salari di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. La recessione ha reso più difficile la situazione. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30 per cento. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. Vi contribuisce fortemente la segmentazione del mercato del lavoro italiano, dove vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà all’altro. È uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l’efficienza del sistema produttivo.
La propensione all’innovazione e la proiezione internazionale delle nostre imprese sono insufficienti a sospingere la crescita, in ultima analisi perché troppe imprese, anche di successo, rimangono piccole. I comportamenti degli imprenditori risentono anche di incentivi impropri a non crescere: un sistema fiscale con meno evasione e aliquote più basse favorirebbe la decisione di aumentare la dimensione dell’impresa.
Come abbiamo mostrato in varie occasioni, il divario che separa il Sud dal Nord dipende in larga misura dalle politiche nazionali e dalla loro applicazione territoriale.

Possiamo guardare con ragionevole fiducia alla possibilità di un’azione di riforma. L’Italia dispone di grandi risorse, ha molte aziende, una grande capacità imprenditoriale, la sua gente è laboriosa e parsimoniosa. Si tratta di liberare lo spirito degli imprenditori e degli individui da molti vincoli. Si è già cominciato, ma azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero per questa via impulsi alla crescita.
Quest’anno celebriamo il 150° anniversario dell’Italia unita. Più di un terzo della nostra storia è stato caratterizzato dalla scelta – col tempo sempre più partecipata – di essere parte dell’Europa, lungo tutte le fasi del suo processo di integrazione. Vi abbiamo contribuito non poco e non poco abbiamo ricevuto. Più che in passato, le scelte strategiche che sono oggi dinanzi a noi italiani e a noi europei coincidono. Saperle tramutare in azione condivisa dalla generalità dei cittadini è, sarà, il compito alto della politica in Europa.

[1] Intervento del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, al convegno AIAF   tenutosi a  Verona, 26 febbraio 2011

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