Mentre
l’Europa cresce al 2% in media all’anno, l’Italia viaggia ad una velocità che è pari alla metà. “Nel corso dei
passati dieci anni il prodotto interno lordo è aumentato in Italia meno del 3
per cento; del 12 in Francia, paese europeo a noi simile per popolazione”.
Nella
sua ultima relazione annuale, il governatore della Banca D’Italia nota che una
delle principali cause del differenziale
di crescita, risiede nel
divario della produttività oraria: “ferma da noi, salita del 9 per cento
in Francia”. Il governatore Draghi, a proposito, fa notare che il deludente risultato italiano è uniforme su
tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud, concludendo che “se la
produttività ristagna, la nostra economia non può crescere”.
Il calo della produttività può
essere ricondotto a due ordini di fattori:
1.
Scarsità
di investimenti nelle nuove tecnologie, in particolare nelle bio,
nano e info Technology. Draghi: “La nostra produttività ristagna perché il
sistema non si è ancora bene adattato alle nuove tecnologie [e] alla
globalizzazione”.
2. Il prevalere di interessi corporativi e delle più svariate
forme di rendita, sempre secondo Draghi,
“deprimono l’occupazione e minano la
competitività complessiva del Paese”.
Le
cause della crescita lenta e degli scarsi livelli di produttività vengono attribuite, tra l’altro, al
ritardo strutturale di numerosi altri fattori:
•
Lo stato della Giustizia Civile;
•
Il mancato completamento della riforma
della scuola;
•
Il mercato del lavoro (Dualismo tra
stabilizzati e precari);
•
Lo stato delle Relazioni Industriali (contratti aziendale);
•
Il livello inadeguato dell’occupazione femminile;
•
L’arretratezza dei servizi offerti dalla
PA;
•
L’insufficienza delle Infrastrutture.
Abbiamo
scelto il tema della produttività per mettere in evidenza le cause
storiche dell’eterna arretratezza dell’Italia su questo specifico
aspetto; diciamo subito, a scanso di equivoci, che la Seconda Repubblica presenta un
bilancio disastroso nella ricerca e nello sviluppo tecnologico.A partire dagli inizi degli anni ‘90 c'è stata una progressiva riduzione dell’investimento in ricerca
pubblica di base, non compensato dalla
ricerca privata, quasi mai di base.Il capitalismo italiano ha scelto la rendita finanziaria e
immobiliare. Un esempio per
tutti: la Pirelli ha venduto i brevetti
sulla fibra ottica e ha creato
uno dei primi fondi immobiliari italiani. Il mattone è stato il settore più dinamico
dell'economia italiana ed ha sottratto risorse ad impieghi più innovativi.
Oggi ci
troviamo di fronte al dilemma dell’equilibrio dei conti pubblici e della crescita.
Il governatore nella sua relazione auspica il raggiungimento di entrambi questi
obiettivi.
Se le
cose stanno così, la sfida posta alle politiche pubbliche appare ardua e
impegnativa oltre ogni misura, ma soprattutto, essa non può essere lasciata nelle mani del
governo del malaffare e della conservazione dello status quo.
L’obiettivo
della crescita richiede il reperimento di nuove risorse, che non possono provenire
da ulteriori forme di indebitamento, i vincoli di bilancio lo impediscono nella
forma più assoluta; è necessario quindi ricorrere a riforme strutturali
radicali che siano in grado di stanare quell’enorme ammontare di ricchezza
privata che ristagna inutilizzata o che propende a trasferirsi nei paradisi
fiscali. Non basta la lotta all’evasione e all’elusione fiscale, non basta uniformare la tassazione sui redditi finanziari
al 20 per cento. Occorre ben altro: l’eutanasia del rentier.
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