“Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi
personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha
dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come
farsa.” (Karl Marx).
La massima
del laisser-faire (lassez-faire) è stata attribuita al mercante Legendre, siamo
verso la fine del XVII secolo: essa
nasce da uno scambio di battute tra Legendre e Colbert, quando quest’ultimo chiese al primo: “Que faut-il faire pour vous
aider?” Legendre rispose: “ Nous laisser faire.” Nasceva così
la fortunata formula che sintetizzava l’esprit
del libero mercato che avrebbe dominato per più di due secoli, fino a quando
J.M. Keynes non ne decretò la fine, in sua
famosa conferenza ad Oxford nel 1924.
Ma si sa
che la fine di una storia coincide con
un nuovo inizio, ovvero, le stesse cose
ritornano: dagli anni ’80 del sec. XX, dopo la parentesi dei trenta gloriosi, non abbiamo
sentito parlar d’altro che di libero mercato, almeno fino allo scoppio della recente
grande crisi del capitalismo finanziario: il libero mercato, il “laisser-faire”
di Legendre, aveva ripreso il sopravvento, potenziato da un progressivo smantellamento dei residui controlli.
Nel 1999 veniva promulgata, dal presedente Clinton, la nuova legge bancaria nota come il
Gramm-Leach-Bliley Act che abrogava quelle disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 che prevedevano
la separazione tra attività bancaria tradizionale e Investment Banking. Insomma il laissair-faire
si trasformava in lasciar fare affari al capitalismo finanziario e speculativo.
Parliamo della vicenda
che si è consumata a latere della recente assise di Confindustria. Come è ormai
a tutti noto, in Italia non sono state adottate, nel corso degli ultimi due
anni, contromisure efficaci per
contrastare gli effetti reali della
crisi sull’economia. Ma una soluzione tutta italiana, in una qualche misura si è
andata delineando: quando il capo del
governo, presentando il decreto
sviluppo, vera panacea dei mali
dell’economia italiana, aveva esclamato:
“perché gli industriali non fanno qualcosa per noi?” forse raccogliendo un
suggerimento del suo super ministro,
novello Colbert in Sella; ha risposto, risentita la signora Confindustria:
“Noi facciamo tutti i giorni qualcosa per il Paese”. Ora, da questo risentito
scambio di punti di vista, è scaturita, piuttosto che una nuova fortunata massima che gettasse nuove
speranze sui destini del capitalismo globale, l’idea della «privatizzazione
della gestione dell'Istituto del commercio estero (Ice), per dare nuova spinta all’internazionalizzazione
dell’economia italiana; ma noi che siamo convinti che a pensar male non si
sbaglia mai, l’abbiamo intesa come l’occasione, per introdurre il libero
arbitrio nelle attività di esportazione dei capitali all’estero, dando
soddisfazione all’invocazione del capo della cricca affaristico delinquenziale.
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